L'Ipocrisia a Torso Nudo: Una Critica alla Liberazione Selettiva del Pride

Le manifestazioni del Pride sono, e devono essere, uno spazio di celebrazione, di lotta e di orgogliosa visibilità per le identità LGBTQIA+. Sono nate per rompere le catene di un sistema normativo, eteronormativo e patriarcale che opprime e cancella. Eppure, proprio all'interno di questo spazio che si vuole liberato, si assiste a una dolorosa e stridente contraddizione, una svista che ne mina la coerenza e ne svela la parzialità: accanto a donne e persone della comunità LGBTQIA+ i cui corpi sono, per legge o per pressione sociale, ancora soggetti a regole e coperture, sfilano uomini che, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, esercitano il privilegio di un corpo maschile la cui esposizione è considerata la norma.

"Che roba!", viene da dire. E a ragione. Perché questo è la manifestazione plastica e sfacciata del privilegio maschile che persiste indisturbato persino nel cuore della rivolta contro le norme.

Il Privilegio che Non Va in Parata: Normalità e Estetica del Dominio

Quello a cui assistiamo, come evidenziato dall'analisi di eventi come il Pride di Roma, non è tanto un "atto di protesta" maschile, ma qualcosa di più subdolo. È l'espressione di una "normalità" data per scontata che riemerge potentemente proprio nei contesti di relax e festa.

L'orrore si aggrava osservando il tipo di corpo maschile che viene spesso esibito: non un corpo qualsiasi, ma un corpo muscoloso, iper-tonico, che incarna l'ideale patriarcale della forza, della potenza e della virilità. In uno spazio che dovrebbe celebrare la diversità dei corpi e la liberazione da canoni estetici oppressivi, la riproposizione acritica di questo specifico modello di mascolinità dominante è una profonda contraddizione. Invece di mostrare una pluralità di corpi, si finisce per celebrare proprio lo standard più tradizionale del potere maschile.

Il corpo maschile a torso nudo non viene percepito come un atto politico, ma come la libertà di default. È il corpo che non ha bisogno di chiedere permesso. Al contrario, i corpi femminili e quelli non conformi della comunità LGBTQIA+ rimangono soggetti a giudizio, a sessualizzazione e a un costante negoziato con la norma. La loro potenziale nudità è sempre una rivendicazione. Quella maschile, invece, è semplicemente "festa", "normalità".

L'Incoerenza di una Lotta Parziale

Ed è qui che la delusione diventa critica politica. Com'è possibile lottare per la liberazione dall'oppressione di genere e, allo stesso tempo, riprodurre acriticamente uno dei più evidenti simboli del potere maschile normativo, sia nella sua libertà di esposizione sia nel canone estetico che propone?

  • Un movimento di liberazione non può essere selettivo. Non può chiedere la fine delle discriminazioni e, contemporaneamente, ignorare le dinamiche di potere patriarcale al suo interno.
  • Sfidare la norma è l'obiettivo. Se l'obiettivo del Pride è sfidare la norma, allora la prima norma da sfidare dovrebbe essere quella che stabilisce quale corpo è "standard". Vedere uomini a torso nudo – specialmente se incarnano un ideale di forza normativa – accanto a persone i cui corpi sono regolamentati, non sfida la norma, la ribadisce brutalmente.

La Risposta del Tribunale: Perché il Simbolo Non è Mai un Problema Secondario

A chi liquida la critica al privilegio del capezzolo maschile come una "stupidaggine" o un "problema secondario" rispetto alla richiesta dei diritti, il Tribunale risponde con la massima severità: Non comprendete che i sistemi di dominio prosperano sull'accettazione acritica di migliaia di 'piccoli' privilegi e simboli quotidiani che ne costituiscono il tessuto connettivo. Il privilegio del corpo maschile normativo è una delle radici velenose dell'albero della prevaricazione. Ignorare la radice per concentrarsi solo sui frutti più marci è un esercizio di miopia etica, un palliativo destinato al fallimento. È proprio nell'analisi di ciò che appare "normale" che si svela la vera natura dell'oppressione.

La Radice Comune del Dominio

Questa apparente "svista" è la prova più schiacciante di quanto sia pervasiva la "logica del dominio". È la stessa logica che gerarchizza le vite, i corpi e le specie, e che il Tribunale degli Animali combatte denunciando la Tanatodossìa Alimentare. Accettare un privilegio come "normale" in un contesto (il genere) rende psicologicamente più facile accettarne un altro in un altro contesto (la specie).

Un vero movimento di liberazione totale, una vera Giustizia Verde, deve essere capace di un'auto-critica radicale e di riconoscere che la lotta contro il patriarcato, l'omotransfobia e lo specismo sono fronti della stessa, identica battaglia contro la prevaricazione.

La domanda, quindi, non è solo per la società esterna, ma anche per i movimenti stessi: siamo pronti a essere veramente e coerentemente rivoluzionari? Siamo pronti a mettere in discussione anche i nostri privilegi più comodi e invisibili, per una liberazione che sia davvero di tutti e per tutti?