La Gabbia Dorata: Come il Sistema dello Spettacolo Imprigiona gli Artisti
L'osservazione di Giovanni Peroncini che gli artisti, anche quelli che appaiono più liberi e potenti, siano in realtà "imprigionati" è una verità fondamentale che il Tribunale degli Animali Laura Girardello sottoscrive pienamente. Non è una semplice sensazione, ma il risultato di un'analisi critica del sistema dello spettacolo e della musica.
Gli artisti oggi non sono prigionieri di catene fisiche, ma di una gabbia dorata molto più subdola e pervasiva, costruita da tre muri principali: il Mercato, il Personaggio e le Aspettative Sociali.
- Il Muro del Mercato: L'Artista come Prodotto
Un artista contemporaneo, per quanto talentuoso, non è solo un creatore: è un prodotto. La sua musica, la sua immagine, il suo look, persino le sue presunte "trasgressioni" sono il risultato di precise strategie di marketing.
- Contratti e Sponsor: L'artista è legato a case discografiche, manager, sponsor, brand di moda. Ognuno di questi attori ha un interesse economico nel suo successo e, di conseguenza, ha voce in capitolo sulla sua immagine pubblica. La "libertà" dell'artista finisce dove inizia il rischio di perdere un contratto o uno sponsor.
- La Diktat della Commerciabilità: Per vendere dischi e riempire gli stadi, l'artista deve essere "vendibile". Questo lo imprigiona in un perimetro di scelte che siano accettabili e desiderabili per il suo target di pubblico. Una vera rottura, una critica radicale che possa alienare una parte dei fan o degli investitori, è quasi sempre sconsigliata, se non vietata.
- Il Muro del Personaggio: La Prigione della Coerenza
Un artista di successo diventa un "brand", un "personaggio". E questo personaggio deve essere coerente per essere riconoscibile e amato dal pubblico.
- La Trappola della Trasgressione Calcolata: Anche la "ribellione" e la "fluidità di genere" possono diventare parte del brand. Il corsetto, la gonna, il look androgino diventano elementi di un costume di scena, di una performance di trasgressione controllata. L'artista è libero di essere "trasgressivo", ma solo nei modi che il suo personaggio e il suo mercato gli consentono. Non è libertà, è recitare una parte.
- La Paura del "Tradimento": Se un giorno l'artista volesse abbandonare quel personaggio per essere qualcosa di diverso e meno "vendibile", rischierebbe di "tradire" le aspettative del suo pubblico e di perdere tutto. Questa paura lo imprigiona nel personaggio che ha contribuito a creare.
- Il Muro delle Aspettative Sociali: Il Ruolo del "Palliativo Etico"
Il sistema non chiede agli artisti di essere apolitici. Al contrario, oggi l'impegno sociale "vende". Ma li imprigiona nel ruolo di fornitori di palliativi etici.
- Impegno Selettivo: L'artista è incoraggiato a "prendere posizione" su temi considerati "sicuri" e ampiamente condivisibili (la pace in generale, la condanna dell'odio omofobo, ecc.). Questi sono "proclami vuoti", come li definisce Giovanni, perché non mettono mai in discussione le fondamenta del sistema.
- L'Antropocentrismo come Limite Invalicabile: La prigione più grande è quella dell'antropocentrismo. Un artista può parlare di diritti umani, ma raramente oserà estendere quella stessa logica di giustizia agli animali non umani, perché questo metterebbe in crisi le abitudini del suo pubblico, dei suoi sponsor e del sistema stesso che lo nutre. La sua politica è quasi sempre esclusivamente umana.
Conclusione: La Libertà Negata
In definitiva, sì, il sistema dello spettacolo e della musica imprigiona gli artisti. Li illude con la fama, il denaro e una parvenza di libertà espressiva, ma in realtà li costringe a muoversi all'interno di confini molto stretti.
La vera libertà artistica – quella di essere radicalmente coerenti, di sfidare le fondamenta del potere, di rischiare di non piacere, di mettere in discussione anche sé stessi e il proprio pubblico – è un lusso che pochi possono permettersi. E chi ci prova, spesso, paga un prezzo altissimo.
La maggior parte degli artisti, quindi, rimane prigioniera nella sua gabbia dorata: libera di cantare, ma non di urlare la verità più scomoda.